martedì 21 aprile 2015

70 anni liberazione Bologna: omaggio a mio nonno.

e a tutti quelli come lui che hanno lottato e contribuito a liberarci dalla guerra, chi tornando a casa e chi invece non ce l'ha fatta...

 testimonianze arrivateci fino a noi...il tutto tratto da "Storie dimenticate"

Gli alleati sono sempre più vicini a Bologna, in città si sentono i colpi d’artiglieria ancora poche ore e la città sarà libera. Nei piani del Comando del CNL i partigiani dovevano preparare la strada agli alleati consegnando la città già libera, ma l’ordine dell’insurrezione non arriva. Sante Vincenzi che ha ricevuto il segnale dalla radio mentre si sta avviando alla sede del CNL, con Bentivogli, viene catturato dai nazifascisti. Saranno uccisi selvaggiamente e i loro corpi abbandonati per strada. Solo alla sera mentre si sta ultimando la fuga dei tedeschi e dei fascisti, i partigiani rompono gli indugi e attaccano le retroguardie permettendo il giorno seguente agli alleati di entrare nella città senza incontrare alcune resistenza.
Il ricordo di quelle ultime ore nelle testimonianze dei protagonisti.
Paolo Betti membro del CLN Emilia-Romagna Il 20 aprile 1945, a poche ore dalla liberazione di Bologna, si riunì il comitato sindacale del CLN (Clodoveo Bonazzi, Angelo Salizzoni, Giuseppe Bentivogli, Giorgio Volpi, Paolo Betti) per discutere l’annuncio e il programma per la ricostituzione della Camera del Lavoro unitaria. Il manifesto, la cui bozza era stata da me preparata, fu approvato e passato alla stampa. Uscii insieme a Bentivogli e ricordo che mi disse: « Pavlèn (parlava sempre in bolognese, anche nelle riunioni, nei comizi), quanto ci è costato essere divisi! D’ora in poi dobbiamo essere sempre uniti ». Si riferiva ai partiti dei lavoratori. Fu questo il suo testamento. La sera stessa, quando ormai stava per avverarsi il suo sogno, fu assassinato dai fascisti, assieme a Sante Vincenzi: gli ultimi caduti della Resistenza bolognese.
Gianguido Borghese commissario politico del Comando Unico Militare Emilia-RomagnaRicordo che verso la metà dell’aprile 1945 gli alleati ci comunicarono che ci avrebbero trasmesso, via radio, un « messaggio » che ci avrebbe informati del loro attacco finale su Bologna. Il Comando, tuttavia, già sapeva — tramite la missione « Bill » — che il giorno decisivo sarebbe stato il 21 aprile, salvo naturalmente impedimenti dell’ultima ora. Il messaggio era: « All’ippodromo ci sono le corse domani » e del fatto erano a conoscenza Dario, Cavazzuti (Sigismondo) e la Nicoletta, quest’ultima in quanto nella sua abitazione era stata installata una radio a batteria, in vista di una possibile e non infrequente mancanza di energia elettrica. Il messaggio fu trasmesso alle sedici del 20 aprile, e fu udito dalle tre suddette persone che erano riunite a casa della Nicoletta. Sante Vincenzi era pure atteso al convegno, proprio perché era lui che avrebbe dovuto trasmettere l’ordine di attacco alle formazioni partigiane. Ma Sante Vincenzi, che in quelle ore si era incontrato con Giuseppe Bentivogli, fu catturato insieme al compagno ed entrambi furono massacrati.
La notte del 20 aprile i partigiani passarono all’attacco senza attendere alcuna direttiva alleata, cercando di agganciare il nemico in ritirata e la cosa riuscì, specie nella periferia nord e nella immediata campagna. Perdite da parte delle formazioni partigiane in queste ultime ore: 53 caduti e numerosissimi feriti. I tedeschi subirono perdite ingenti e molti fascisti non poterono realizzare il sogno della fuga.
Ena Frazzoni membro del Comando Unico Militare Emilia-Romagna e responsabile dei collegamenti con le staffette
Nelle prime ore del pomeriggio del 20 aprile 1945, mentre nella mia casa Dario, Sigismondo ed io aspettavamo la conferma della notizia, già avuta per altri canali, che gli alleati sarebbero entrati in Bologna il giorno seguente, dalla radio udimmo il messaggio definitivo che era stato concordato con gli alleati: « All’ippodromo ci sono le corse domani ». Ciò significava che occorreva mobilitare subito tutte le nostre forze per l’insurrezione, secondo un piano prestabilito.
L’ordine dell’insurrezione doveva essere trasmesso subito al Comando della « Divisione Bologna », tramite l’ufficiale di collegamento Sante Vincenzi (Mario), il quale, però, proprio in quell’ora cadeva nelle mani delle brigate nere, insieme a Giuseppe Bentivogli. Furono entrambi arrestati, a quanto si è potuto sapere, fra piazza Trento e Trieste e porta Santo Stefano, di qui tradotti nella caserma di via Borgolocchi dove furono torturati e poi trascinati per le strade dal nemico in fuga, legati ad automezzi. I loro corpi vennero ritrovati, orribilmente sfigurati, a Santa Viola al momento della liberazione.
Nonostante ogni sforzo compiuto da Dario e da noi pure, non ci fu quindi possibile prendere contatto immediatamente col comando della « Divisione Bologna » la cui sede, per ovvie ragioni cospirative, era in quel momento nota solo a Mario. Tuttavia contatti furono successivamente presi con vari raggruppamenti di partigiani in armi dislocati nella città e così, al tramonto del 20 aprile, ebbe inizio l’insurrezione che anticipò la liberazione della città.
Giuseppe Dozza membro del CLN Alta Italia (1943-1944), e del « Triumvirato insurrezionale» dell’Emilia-Romagna
La notte del 20 aprile — l’ultima del fascismo a Bologna — fu una notte insonne e la passai con Malaguti e Bottonelli nella sua casa di via Borgonuovo. La città era sconvolta dalla fuga impetuosa dei nazifascisti e dai boati delle artiglierie alleate che ogni minuto crescevano. Nel pomeriggio avevamo tenuto una riunione in via S. Stefano, e in quell’occasione sapemmo che il Cardinale Nasalli Rocca aveva stabilito qualche contatto con esponenti della Resistenza. Ricordo che Dario era molto preoccupato per l’assenza di Sante Vincenzi (Mario), l’ufficiale di collegamento del CUMER, che era atteso con gli ordini per le formazioni. Mario fu purtroppo, trovato cadavere a Santa Viola il mattino successivo insieme a Giuseppe Bentivogli. Ambedue questi indimenticabili compagni erano stati uccisi dai fascisti. Ma Dario coi suoi collaboratori fece ogni sforzo per sostituire Vincenzi nelle istruzioni che il comando aveva disposto.
Fascisti e tedeschi intanto fuggirono con ogni mezzo. Essi non resistettero mentre il fronte si sfasciava, e venivano inseguiti dai partigiani. Lo scontro principale ebbe luogo a San Pietro in Casale dove i fascisti e i tedeschi ebbero molte perdite, e anche noi ne avemmo. Un altro scontro ebbe luogo verso il modenese. In tutto, malgrado la rapidità della loro fuga, il nemico ebbe 300 morti e un migliaio di prigionieri fatti dai partigiani.
Dovilio Chiarini membro del CLN dell’Azienda tranviaria di Bologna
La sera del 20 aprile le nostre staffette ci informarono che le armate alleate erano giunte nei pressi di Ozzano e di Pianoro e le voci di impiego delle nostre vetture per approntare le difese si facevano sempre più insistenti. La nostra decisione fu tempestiva e rapida, i tram furono allineati sui binari nei punti di passaggio obbligato e furono saldati sulle rotaie specie lungo la via dell’Archiginnasio. Non potevano assolutamente essere rimossi.
Ormai si sentiva il crepitio anche delle armi leggere; decidemmo di vegliare il nostro posto di ritrovo abituale perchè sentivamo che qualche cosa quella notte doveva succedere. Le staffette da più di due ore non mantenevano più i collegamenti e noi avevamo mandato una pattuglia in perlustrazione. All’una di notte del 21 aprile la nostra pattuglia rientrò esultando: i tedeschi e i fascisti stavano lasciando la città.
Mezzi di trasporto non ne avevano; uscimmo anche noi per dare il nostro contributo, le strade erano deserte. Verso le 5,30 i primi mezzi corazzati dell’8a Armata alleata entrarono in Bologna; dopo qualche ora, dal sud, entrò in città anche la 5a Armata.
Bologna era liberata. I tedeschi e i fascisti furono inseguiti fino al Po, e in grande numero finirono nella rete tesa loro dalle formazioni partigiane nella pianura.
Enrico Bettini vice comandante della 1a Brigata «Irma Bandiera»
Ormai si sentiva nell’aria l’imminenza della liberazione ed il nostro solo obiettivo era quello di partecipare alla liberazione della città prima dell’arrivo degli alleati: dovevamo riuscire a dimostrare la forza politica e militare della Resistenza nella prima grande città del nord. Anche Renato Capelli, che era stato arrestato dai tedeschi a Pieve di Cento, era riuscito a sfuggire ed era rientrato nella « base » del nostro comando che si era trasferito in via del Riccio, in casa di Danielli. I battaglioni « Ciro » e « Pinardi » cominciarono a spostarsi verso il centro e sì sistemarono dentro al seminario dei Salesiani, in via dei Mille, in accordo coi Padri che avevano messo a disposizione della Brigata una soffitta dello stabile. Altri reparti si concentrarono in uno stabile in piazza Malpighi. La notte del 20 aprile una pattuglia del battaglione « Rosini », mentre da via San Vitale si portava verso il seminario, notò che i fascisti ed i tedeschi si stavano preparando ad andarsene. Anche Ciro, comandante del battaglione « Busi », ebbe notizie da sua madre che i tedeschi stavano togliendo la gendarmeria dalla porta ed allora procedette alla occupazione della caserma Magarotti. I vari reparti della Brigata GAP cominciarono all’alba l’occupazione della città. Mastice che quella notte era in una « base » fuori porta Mazzini, appena seppe che gli alleati stavano avvicinandosi a San Lazzaro, corse a Corticella e dopo aver occupato il quartiere con un gruppo di uomini, armò la popolazione e tutti insieme tennero testa ai tedeschi che volevano attestarsi nel rione finché giunsero i polacchi e allora con un’azione comune i tedeschi furono annientati.
Aldo Cucchi comandante della 62a Brigata Garibaldi, Commissario della 7.a Brigata GAP e vice comandante della Divisione « Bologna » Il 20 aprile 1945 tutto il Comando Divisione rimase riunito in Via Mezzofanti, attendendo l’ordine di attacco, che non poteva più ricevere per radio, perché, dal giorno prima, la zona era priva di corrente elettrica. Il « messaggio » sarebbe stato ascoltato al CUMER e trasmesso a noi tramite Mario (Sante Vincenzi). Quel pomeriggio del 20 aprile Mario venne al Comando, diede assicurazione che, appena ricevuto il « messaggio speciale », sarebbe corso a comunicarcelo e si allontanò per recarsi ad un appuntamento col socialista Bentivogli. Non rivedemmo più Mario perché, come si seppe poi, egli e il socialista Bentivogli erano stati catturati dai nazi-fascisti ed uccisi. Il Comando di Divisione non ricevette dunque il « messaggio speciale » alleato che significava « insorgete ». Però nel pomeriggio del 20 aprile, avendo l’impressione che la liberazione non fosse più che questione di ore, era stato dato ordine ai reparti gappisti e alla la brigata di muoversi di loro iniziativa e di attaccare se vedevano profilarsi dei movimenti di truppe nemiche che facessero supporre vicina l’ultima battaglia. Così, malgrado il non ricevimento del « messaggio speciale », l’insurrezione ebbe inizio come moto spontaneo e lo stesso Comando di Divisione si mosse prima dell’alba, entrò in città e si installò fra le rovine dell’Ospedale Maggiore, dove vi era stato il Comando della 7a GAP  all’epoca della battaglia di porta Lame. Il Comando di Divisione, nella sua nuova sede, prendeva immediatamente contatto con i reparti della 7a brigata GAP e con quelli della la brigata. La 7a GAP occupò il Municipio, la Questura, la Prefettura rastrellò la città dai franchi tiratori fascisti che vi erano rimasti, mentre il grosso delle forze, verso l’una di notte, occupava la città, prendendo la via di Modena, la via Persicetana, verso Verona e anche la Ferrarese.
Verso la mezzanotte del 20 aprile il distaccamento « Temporale » della 7a GAP aveva eliminato i presidi nazifascisti a porta Saragozza, porta Sant’Isaia e porta San Felice, impegnando combattimenti con le retroguardie tedesche e spingendosi fino a Borgo Panigale dove ebbe uno scontro molto duro.
La la brigata occupava porta Santo Stefano, porta Mazzini, la caserma della polizia in via Cartolerie e le caserme di via Magarotti e di via Borgolocchi, avendo qualche scontro con retroguardie fasciste. La 5a brigata occupava porta San Vitale e presidiava il complesso ospedaliero; la 6a e l’8a brigata occupavano porta Zamboni e l’Università, la « Santa Justa », porta Galliera, la Stazione, i depositi ferroviari.



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